Goethe e Roma
Un giovane Johann Wolfgang Goethe, trentasettenne, il 3 settembre 1786, verso le 3 del mattino si allontanò in segreto dalle terme boeme di Karlsbad e viaggiò il più rapidamente possibile in carrozza fino al Brennero, e da lì discese attraverso l’Alto Adige, fino a Verona, Vicenza e Venezia.
Ormai insofferente delle responsabilità che lo occupavano perennemente a Weimar, e della scarsa produzione letteraria, deciso a seguire il suo destino, si procurò un falso passaporto con il nome di Philipp Müller, pittore per sfuggire alla notorietà che gli aveva procurato il clamoroso successo del Giovane Werther e poter viaggiare in Italia senza esser perseguitato dalla sua stessa fama.
L’8 settembre varcò il passo, dove altre due volte si era arrestato non sentendosi ancora pronto, finchè “le forze fatali che controllavano la mia vita non mi diedero la spinta necessaria a proseguire. Solo quando il destino fu succube del mio desiderio, intrapresi la lunga strada solitaria. Quando passai il Brennero mi accorsi che da esso si riversano le acque verso la Germania e verso l’Italia. Ed è queste che ho seguito al fine”
Dopo brevi soggiorni in altre località italiane arrivò finalmente a Roma, la meta dei suoi sogni il 29 ottobre del 1786 in tempo per la festa di Ognissanti ritenendo che nella capitale della cristianità la festa di tutti i Santi dovesse essere una festa grandiosa.
“Solo quando passai sotto Porta del Popolo seppi per certo che Roma era mia. Si mi trovo finalmente in questa capitale del mondo! L’ansia di giungere a Roma era così grande che non avevo tregua e sostai a Firenze solo tre ore. Eccomi qui adesso tranquillo e pacato per tutta la vita. Giacchè si può dire che una nuova vita ha inizio quando si vedono coi propri occhi tante cose che già si conoscevano in ispirito”.
Ne riparti un anno e mezzo dopo, il 23 aprile del 1788. Da allora sono passati 233 anni.
Goethe era affascinato dall’Italia e dai disegni che suo padre Johann Caspar aveva portato dall’Italia, oggetti che facevano parte della loro casa, le vedute romane, la carta geografica, dove erano segnate le tappe del viaggio, il modellino della gondola veneziana, la piccola collezione di marmi.
L’idea di vedere Roma e l’Italia era impressa nel suo animo sin dalla giovinezza e tante volte aveva rinunciato al viaggio pensando di essere impreparato. “In Italia cercavo la verità, non un’illusione, la prova che tutto ciò che avevo studiato era vero e reale”
A Roma trovò ad attenderlo il suo amico pittore Tischenbein che lo introdusse in una cerchia di amici tedeschi con cui iniziò la visita ai monumenti della città, alle Chiese, alle Ville, la scoperta della botanica, la convivialità delle trattorie romane, le gite sul Tevere, la frequentazione ai banchetti di personalità in vista, ma anche agli spettacoli teatrali di cui si compiace della numerosità dei Teatri romani e del livello delle performances.
Il fascino della città lo accompagnava ovunque “comincio a gustare le antichità romane . Storia iscrizioni, monete tutte cose di cui non volevo sentir parlare ora mi si accalcano intorno. Come già mi è avvenuto per la storia naturale, mi succede anche qui: perché in questo luogo (Roma) si riallaccia l’intera storia del mondo e io conto d’erre nato una seconda volta, d’essere davvero risorto il giorno in cui ho messo piede in Roma”
A mano a mano che Goethe partecipa la vita della città e cerca di vederla non solo con occhi del visitatore ma anche del grande letterato e studioso della classicità greco romana, dello scrittore di opere teatrali memorabili, di cui alcune scritte proprio a Roma “ispirato dal sacro suolo” come l’Ifigenia in Tauride, l’Egmont, la Claudine von Villabella, l’Ermin und Dorothea e il Torquato Tasso la cui stesura non riusciva a terminare e che completò solo dopo aver visitato sul Gianicolo la tomba del poeta nel convento di S. Onofrio.
Elogia la città e il carattere dei suoi abitanti “si prova una sensazione di serenità nell’osservare quanti romani conducono una esistenza riservata, dedicandosi ognuno alla propria attività” e allo stesso tempo non può fare a meno di considerare la situazione di abbandono in cui versa.
“Quando si considera un’esistenza simile, vecchia di duemila anni e più, trasformata dall’avvicendarsi dei tempi in modo così molteplici e così radicali, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e mura, e si scorgono ancora nel popolo tracce dell’antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del destino; Roma succede a Roma e non già la Roma nuova all’antica ma ancora le varie epoche dell’antica e della nuova sovrapposte l’una all’altra. In altri luoghi bisogna andare a cercare le cose importanti, qui se n’è schiacciati, riempiti a sazietà. Si cammini a stai fermo ecco che appaiono panorami d’ogni specie e genere, palazzi e ruderi, giardini e sterpaie, vasto orizzonti e strettoie, casupole stalle, archi trionfali e colonne spesso così fittamente ammucchiati da poterli disegnare su un foglio solo”
Ma non manca tuttavia l’occasione per contestare la situazione di abbandono in cui versano le antiche vestigia e lo sfruttamento che se fa di esse a beneficio dei nuovi palazzi.
“Sono già qui da sette giorni , e a poco a poco si precisa nel mio animo un’idea generale di questa città. La percorriamo in ogni senso con scrupoli; io mi familiarizzo con la topografia dell’antica e della nuova Roma, osservo rovine e edifizi, esploro questa e quest’altra villa, lentamente mi accosto alle maggiori bellezze e non faccio che aprire gli occhi e guardare, che andare e venire solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma.”
Come tutte le cose hanno una fine anche il soggiorno romano di Goethe terminò la mattina del 24 aprile 1788 riprendendo la strada verso la Germania. Non sarebbe mai più tornato.
Il viaggio in Italia nel suo complesso e il soggiorno a Roma avevano rappresentato un periodo cruciale della sua esistenza fecondo di opere e poesie che portava con sé come massima espressione di quel periodo della sua vita.
“La mia partenza da Roma fu un grande dolore. Tuttavia doveva accadere. Fu un preludio solenne, già da tre notti la luna splendeva nel cielo cristallino, si da farmi sentire più che mai acuto l’incanto ch’essa diffondeva sull’immensa città e che tante volte avevo provato. Le grandi masse luminose immerse in un tenue chiarore quasi diurno coi loro contrasti d’ombre ci trasportano in un’altra sfera quasi al cospetto di un mondo diverso, più semplice più grande. Il cielo di una purezza e di una splendidezza rara, illuminava, nobile ed innocente, tutte quelle stravaganze.”